Padre nostro: abbiamo pregato in modo sbagliato?

Non deve passare il messaggio che ad oggi i credenti abbiano pregato in italiano in modo sbagliato, quasi che la preghiera del padrenostro “non funzionasse”. Se cosi fosse cadremmo nell’inganno della magia, cioè pensare che solo delle parole esatte possano ottenere da Dio qualcosa. Gesù ci ha insegnato a rivolgerci ad un Padre, e non ad un dio pagano da sfinire con tante parole. Questo Padre ha delle attenzioni verso i suoi figli. Il ruolo di chi insidia non è di Dio. Dio non ha parte nel male che ci colpisce. Come ammonisce la Scrittura: ”Nella prova, nessuno dica: ‘‘La mia tentazione viene da Dio’ (cf. Gc 1, 12-18). 

Ribadiamo quindi che non cambia il «Padre nostro», nessuno ha corretto la preghiera insegnata da Gesù, ma cambia la sua traduzione italiana. Cambia perché vi è sempre una crescita, una evoluzione nella comprensione della realtà, così anche nella verità di fede. Il nostro rapporto con Dio e con le realtà di fede chiede di essere in crescita, non come uno stagno ma come una cascata sempre piena d’acqua e sempre potente nel suo scorrere. «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio» scriveva Giovanni XXIII. Non era sbagliata la traduzione di prima, ma era solo un po zoppicante, ovvero rischiava di far passare il messaggio che Dio ci orienti alla tentazione. 

Una traduzione non letterale, ma non sbagliata

La  nuova traduzione del padrenostro non è l’unica traduzione, è una versione tra le tante possibili, che in qualche modo tradisce la struttura letterale, per veicolare meglio il senso. Già i primi scrittori cristiani avevano “difficoltà” nel commentare il senso di questa frase e tanti sono stati i tentativi escogitati per spiegare questo versetto evangelico. Sant’Ambrogio insegnava ai catecumeni «e non tollerare che siamo indotti in tentazione», (De Sacramentis V 4,18).  Anche sant’Ilario di Poitiers esplicita il senso di questa domanda del Padre nostro: «non abbandonarci con una tentazione che non siamo in grado di sopportare» (Cf. PL IX, 510). Il cristiano, appellandosi al Padre con lo spirito di Gesù e invocando il suo regno, grida con la forza della fede: fa’ che non soccombiamo alla tentazione, liberaci dal Male, dal Maligno (cf. San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 13 agosto 1986). 

La fedeltà di una traduzione è relativa a molti fattori. Uno di questi è senz’altro quando raggiunge lo scopo per cui è fatta, cioè quando riesce a far arrivare al destinatario ciò che il senso originale esprime. Nell’atto di tradurre non si deve dimenticare che non è la semplice parola a permettere di cogliere il senso, ma l’intera proposizione. 

La traduzione perfetta e definitiva della Bibbia non esiste, e le nostre traduzioni sono sempre provvisorie, il nostro modo di esprimerci cambia, cambia anche il senso che diamo a certe parole. Il nostro linguaggio, tuttavia, non è qualcosa di immutabile, anzi è parte viva del nostro saper comunicare, ed essendo vivo, si evolve, cambia, trasmette gli stessi misteri in un modo nuovo con parole nuove. Probabilmente la lezione da imparare è che più che affezionarci alle tradizionali parole di una preghiera, dovremmo scendere a fondo, dovremmo arrivare a chiederci: il Maestro, il Signore Gesù, cosa mi ha voluto insegnare con quelle parole? (cf. S. Agostino, Discorso 56, 9.12) Ecco allora che il senso resterà lo stesso sempre, anche quando le parole dovessero mutare. 

Qual è il senso di questa frase?

Non abbandonarci alla tentazione, prova invece a trasmettere un significato più ampio. Ci trasmette il senso di quanto Gesù ci ha lasciato con questa preghiera. Il senso è: “stammi vicino quando sarò nelle trappole del maligno e la mia fede rischia di spegnersi, liberami, strappami dalle grinfie di chi vuole separarmi da te”. 

In quel momento abbiamo bisogno di essere sostenuti, amati, consolati dal Signore, a cui chiediamo aiuto nella nostra lotta contro il male. Una delle vittorie del maligno è  sempre quella di dividere i discepoli di Gesù, disperdere è la sua specialità. Il maligno godrebbe per bene se la preghiera che ci educa alla comunione col Padre e con i fratelli, è invece fonte di divisione. 

Siamo chiamati allora a pesare bene le parole che diciamo quando preghiamo con il padrenostro, consapevoli allora che l’uomo non vive da orfano nel mondo ma è sostenuto sempre e guidato dal Suo amore.  

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