Beati, Felici, Santi

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In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

(Mt 5,1-12a- Tutti i Santi – Solennità)

Medita

Il discorso delle beatitudini è ormai noto alla maggior parte di noi: chissà quante volte abbiamo letto un commento o ascoltato un’omelia su questo brano. Per questo motivo ciò che è importante non è tanto riflettere sulle singole beatitudini, quanto sulle parole che le introducono. L’evangelista Matteo ci dice che Gesù si “mise a parlare e insegnava loro dicendo”. In una sola frase, l’autore utilizza tre parole simili tra loro: parlare, insegnare, dire. È come se ci stesse dicendo: guardate che quello che Gesù ci sta per dire adesso non è importante, di più! È importantissimo! Ed in effetti è così: mi immagino Gesù che, mentre pronuncia le beatitudini, scandisce bene le parole, usa una voce robusta, potente, tale da rimanere impressa nelle orecchie e nei cuori dei discepoli. Perché la felicità è una cosa seria, non può essere presa alla leggera. E solo Gesù, che della felicità ne è il Maestro, può dare il giusto ritmo a queste parole. Dico tutto questo perché quello che fa Gesù con le beatitudini lo dovremmo fare noi nella vita di tutti giorni: riconoscere che le nostre parole, prima ancora di avere un peso, hanno un tono, una voce, che ci dice quanta importanza diamo a quello che stiamo dicendo. C’è differenza tra il dire “ti voglio bene” con una voce spezzata, soffiata, priva di ogni sentimento, e il dire la stessa cosa con dolcezza, passione, oppure con energia e forza. Dal modo in cui diciamo le cose si capisce già molto di noi. Ecco, allora, il messaggio delle beatitudini: se vuoi dare un giusto tono alle tue parole, devi prima viverle nella tua vita. Solo se sperimenterai la felicità nella tua storia e nel tempo presente potrai dire di essere felice senza “se” e senza “ma”. A chi è felice nel senso più autentico della parola dico: beati voi, perché vostro è il Regno dei cieli!

Vivi

Dio, oggi più che mai, ti dice “Ti amo” e “ti voglio Felice”…

sei fatta/o per la felicità, quella vera, quella che non si estingue mai!

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